Africa

di Osvaldo Biribicchi

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Parlare di Africa significa parlare del luogo della terra in cui sono state rinvenute le primissime tracce dell’umanità. Il Paleolitico Inferiore, caratterizzato dai primi manufatti umani, ha origine in Africa dove sono stati rinvenuti oggetti di pietra realizzati dall’uomo 2,5 milioni di anni fa. Le grandi civiltà del Mediterraneo (Romani, Greci, Fenici, Bizantini, Sardi ed Etruschi) instaurarono, direttamente o indirettamente, rapporti commerciali con i Sudanesi. Il Sahara che rappresentò una linea di demarcazione culturale fra l’Africa Bianca e l’Africa Nera, non costituì mai un ostacolo fisico per le carovane che lo attraversavano collegando il Maghreb ed il Sahel. Ai fini dei nostri studi, però, è necessario prendere in esame la storia dell’Africa nell’Età Moderna, il periodo convenzionalmente compreso tra la scoperta dell’America avvenuta nel 1492 e la Rivoluzione Francese, 1789 – 1799. L’analisi storica degli ultimi cinquecento anni è divisa generalmente in tre periodi: uno, il XV secolo, che precede il colonialismo europeo; un secondo periodo che va dal XVI fino al XX secolo in cui gli Stati europei estesero il loro dominio a tutto il continente africano; un terzo ed ultimo che parte dagli Anni Sessanta con la formazione dei primi Stati indipendenti fino ai nostri giorni. Lo schiavismo, che ha rappresentato uno degli aspetti peggiori della dominazione europea, ha affiancato quello meno noto, ma non meno terribile, che gli arabi – berberi iniziarono mille anni prima degli europei. Una tratta, quest’ultima, che vide milioni di esseri umani avviati dalle regioni a sud del Sahara verso il Maghreb, la penisola arabica e la Persia.

Nel periodo precoloniale, che abbracciò sommariamente tutto il XV secolo, allorché i primi navigatori portoghesi iniziarono ad esplorare sistematicamente le coste occidentali del continente alla ricerca di un passaggio a sud-est in direzione delle Indie, nell’Africa Sub-Sahariana esistevano importanti entità statuali quali l’Impero Songhai, nato dalla crisi dell’Impero del Mali, il Regno del Congo, l’Impero di Kanem – Bornu, l’Impero del Benin, il Regno di Mutapa ed il Regno di Etiopia, solo per citarne alcune, che resistettero finché poterono all’inesorabile sistematica progressione della “civiltà” europea all’interno del continente. Bartolomeo Diaz nel 1488 raggiunse per primo il Capo di Buona Speranza, che dieci anni dopo venne doppiato da Vasco da Gama alla volta dell’India. Nei quattro secoli successivi la presenza europea inizialmente limitata alle aree costiere del Golfo di Guinea da dove partivano gli schiavi necessari alle piantagioni ed alle miniere delle Americhe, si estese progressivamente verso l’interno del continente grazie anche ai progressi della medicina che fornì agli esploratori ed ai missionari i mezzi per combattere la malaria. Nell’ultimo quarto del XIX secolo, le potenze europee in piena crescita industriale e sempre più avide delle materie prime di cui il continente africano è ricchissimo decisero di limitare i rischi di conflitti tra loro definendo geograficamente le proprie aree di influenza. A tale scopo fu convocata la Conferenza di Berlino (1884-1885) nel corso della quale vennero creati a tavolino nuovi Stati la cui sovranità però non fu rimessa nelle mani delle popolazioni autoctone ma rimase saldamente nelle mani delle potenze coloniali. La Conferenza cambiò l’essenza stessa del colonialismo il quale, oltre a diventare un sistema nel suo complesso più efficiente, assunse toni marcatamente ideologici, in cui si affermò tout court la supremazia civile e culturale europea su quella africana in generale. In definitiva il dominio europeo divenne per le popolazioni locali ancor più pesante ed umiliante di quanto non fosse stato fino ad allora. A distanza di migliaia di chilometri dalla terra africana, quegli stessi uomini di Stato che in Europa si erano battuti per gli Stati nazionali, per la salvaguardia delle identità culturali e linguistiche, per l’indipendenza e la dignità dei vari popoli, davanti a carte geografiche approssimative tracciarono i confini delle rispettive aree di influenza. Confini che chiaramente non tenevano conto dell’appartenenza etnica delle popolazioni, delle identità linguistiche, sociali e culturali per cui queste si ritrovarono a loro insaputa divise o accomunate ad altre storicamente ostili. I confini politico-amministrativi disegnati dagli europei furono ereditati dagli Stati indipendenti nati negli Anni Sessanta del XX secolo (inizio terzo periodo). I nuovi Stati indipendenti, nel delicato travagliato periodo seguito alla decolonizzazione, subirono anche l’influenza devastante della Guerra Fredda. Modelli politico-sociali di Paesi industrializzati dell’Europa, del Nord America e dell’Unione Sovietica furono imposti brutalmente a popoli di sensibilità, storia e cultura diverse provocando danni sociali devastanti. Terribili guerre locali furono combattute per conto delle superpotenze di allora che a seconda delle circostanze finanziavano Stati sovrani o movimenti di guerriglia. Dopo la fine della Guerra Fredda, avvenuta nel 1991 con il crollo dell’Unione Sovietica, il continente dopo un periodo di apparente oblio è balzato alla ribalta della scena mondiale per una guerra civile di inaudita ferocia, esplosa in Ruanda nel 1994, che in poche settimane ha causato oltre ottocentomila vittime. A questa ne sono seguite altre. Negli ultimi anni sono emerse situazioni di crisi che puntualmente sono sfociate in conflitti armati, dal nordest della Nigeria al Sud Sudan, dal Mali alla Repubblica Centrafricana. La fascia saheliana, il Corno d’Africa e la regione dei Grandi Laghi sono le aree più a rischio. In queste crisi si intrecciano componenti religiose, in particolare il fondamentalismo jihadista, ed etniche unitamente ad interessi economici di varia natura, legali ed illegali e non ultimo il controllo dell’acqua.

L’Africa ha bisogno di pace e stabilità politica per sviluppare progressivamente seppur lentamente la sua economia, le sue industrie manifatturiere e consentire alle popolazioni di poter aspirare, in un clima scevro da tensioni sociali, ad un benessere duraturo. Per fare ciò è necessario un cambiamento culturale, un maggiore investimento nell’istruzione, nella formazione professionale dei giovani. L’Europa può e deve contribuire a questa crescita, oltre che per un preciso dovere storico, per alleggerire la pressione migratoria ed al tempo stesso gettare le basi di una sana e durevole collaborazione economica tra le imprese europee e le realtà emergenti nell’area sub-sahariana. La pace sociale però, necessaria per la realizzazione di tali obiettivi, sembra lontana.