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Africa sub-sahariana: l’acqua, risorsa e fattore geopolitico

L’acqua, elemento vitale patrimonio dell’umanità, a causa di vari fattori quali i cambiamenti climatici, l’urbanizzazione, l’inquinamento, l’aumento dei consumi sta diventando una risorsa sempre più preziosa. In qualsiasi società la qualità e sicurezza dell’acqua è fondamentale; l’uomo, per le sue necessità alimentari e sanitarie, utilizza da sempre l’acqua dolce ovvero l’acqua di falda, che rappresenta il 97 % delle acque dolci[1], e di superficie (laghi e fiumi). Un discorso a parte merita l’utilizzazione dell’acqua marina desalinizzata, un processo al momento poco sfruttato a causa degli alti costi di gestione degli impianti. In questo settore, tuttavia, si è imposto a livello mondiale Israele che a seguito di una gravissima siccità e nel quadro di un ampio programma volto a migliorare l’impiego delle risorse idriche nei primi anni del Duemila ha avviato la costruzione di impianti di desalinizzazione[2]. In particolare a Sorek, a circa 15 chilometri a sud di Tel Aviv, è operativo dal 2013 il più grande ed innovativo impianto di desalinizzazione al mondo con soluzioni tecnologiche particolarmente avanzate che hanno consentito di ridurre gli elevati costi di manutenzione che normalmente simili strutture richiedono. Detto impianto, che si affianca a quelli minori di Ashkelon, Hadera, Palmachim e Ashdod[3], è in grado di trattare 624.000 metri cubi di acqua marina al giorno.

L’acqua dolce sotterranea, rispetto a quella di superficie, presenta una più alta qualità microbiologica grazie all’azione filtrante del suolo in cui scorre a differenza della seconda che è esposta al rischio di contaminazione a causa degli scarichi industriali ed urbani non sottoposti a trattamenti di depurazione nonché dall’uso sproporzionato ed improprio di fertilizzanti, antiparassitari e diserbanti in agricoltura[4]. Purtroppo, l’accesso all’acqua potabile ed ai servizi igienico-sanitari, riconosciuti nel 2010 dalle Nazioni Unite come diritti umani fondamentali, rimane per decine di milioni di persone un mera speranza, soprattutto nell’Africa Sub-sahariana paradossalmente ricchissima di acqua sia di falda che di superficie ma priva di adeguate reti idriche e fognarie, di impianti di depurazione e, non meno importante, di quelle rigorose norme igieniche che nei Paesi del nord del mondo impediscono all’acqua di trasmettere malattie.

Nei cosiddetti Paesi in via di sviluppo sono infatti presenti forme di inquinamento analoghe, seppure in misura minore, a quelle dei paesi industrializzati (inquinamento chimico proveniente prevalentemente da scarichi industriali ed agricoli, perdite accidentali da discariche di rifiuti e piogge acide) a cui si sommano però gli scarichi di materiali organici e di rifiuti tossici.

L’uso di acqua inquinata[5], secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), causa ogni anno nel mondo circa 840.000 morti, di questi circa 360.000 sono bambini al di sotto dei 5 anni. Tali dati sono stati richiamati anche da Papa Francesco: «mille bambini muoiono ogni giorno a causa di malattie collegate all’acqua; milioni di persone consumano acqua inquinata» in occasione del seminario dal titolo “Il diritto umano all’acqua: uno studio interdisciplinare sul ruolo centrale delle politiche pubbliche nella gestione dell’acqua e dei servizi ambientali” organizzato dalla Pontificia Accademia delle Scienze[6] il 24 febbraio 2017.

L’acqua non è distribuita equamente, il fabbisogno idrico vitale giornaliero individuato dall’OMS per garantire a ciascuna persona condizioni di vita accettabili è di cinquanta litri, le statistiche però ci dicono che una persona che vive nel Nord America consuma quotidianamente una quantità d’acqua mediamente dieci volte superiore al fabbisogno giornaliero mentre un africano in un giorno ha a disposizione venti litri di acqua. La richiesta di acqua dolce potabile nel mondo e nell’Africa Sub-sahariana in particolare è in aumento anche a causa «della crescente domanda di prodotti alimentari ad elevata intensità idrica come carne, formaggi, zucchero e cotone. L’agricoltura rappresenta il principale settore di consumo idrico a livello globale»[7]. Un parametro importante per comprendere quanto affermato è il concetto di acqua virtuale, vale a dire l’acqua che viene incorporata in ciascun prodotto consumato. Antonio Cianciullo nel suo articolo inchiesta Per salvarci dobbiamo cambiare dieta”[8] ha fornito dati illuminanti sulla quantità di acqua necessaria per ottenere alcuni alimenti: «… Per un chilo di aglio ne bastano 518 e per un chilo di cereali 1.543. Ma per sgranocchiare un chilo di pistacchi bisogna investire ben 10.864 litri di acqua. E per un chilo di vaniglia si arriva a 96.649 litri. È il prezzario idrico del cibo. L’impronta idrica. L’acqua virtuale. I nomi sono molti ma il concetto è sempre lo stesso e drammaticamente semplice: per produrre cibo in quantità crescente (seguendo l’aumento dei consumi pro capite e del numero di esseri umani) ci vuole acqua dolce…».

In media negli Stati Uniti il consumo di acqua virtuale giornaliero è di 7.000 litri per persona, una parte dei quali proviene dall’Africa Sub-sahariana attraverso l’esportazione dei suoi prodotti agricoli.

Tali dati statistici, inseriti in uno scenario che prevede la crescita esponenziale della popolazione mondiale (secondo stime dell’ONU passerà dagli attuali 7,3 miliardi a 8,5 miliardi entro il 2030; 9,7 miliardi nel 2050 e 11,2 miliardi nel 2100), impongono ai governi politiche idriche serie e di lungo periodo in quanto l’acqua sta acquisendo sempre più un valore geopolitico ed in quanto tale potrà fare la differenza tra la pace e la guerra. Si impone quindi obbligatoriamente la collaborazione fra gli Stati per combattere la siccità, che sembra non essere più appannaggio dei soli Paesi del sud del mondo o del vicino oriente, al di là delle divisioni politiche, etniche o religiose. Nel periodo 2015-2050, la metà della crescita della popolazione mondiale sarà concentrata in soli 9 paesi: India, Nigeria, Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Tanzania, Uganda, Pakistan, Indonesia e Stati Uniti d’America. Di questi Stati, ben cinque si trovano nell’Africa Sub-sahariana la quale, nel corso di questo secolo, passerà dall’attuale miliardo circa (988 milioni) a 4 miliardi: i bambini al di sotto dei 15 anni sono il 41% della popolazione (in America latina e Caraibi il 26%, in Asia il 24%).

Il paradosso, come già detto, è che nell’Africa Sub-sahariana, pur essendo ricca di enormi riserve di acqua nel sottosuolo, di vasti bacini idrografici ed attraversata da grandi fiumi: il Nilo; il Congo (secondo fiume al mondo per portata d’acqua e ampiezza del bacino: 3,6 milioni di chilometri quadrati); il Niger; il Senegal; il Gambia; lo Zambesi e l’Orange, solo il 63% della popolazione ha accesso all’acqua potabile. Secondo uno studio scientifico pubblicato dalla rivista Enviromental Research Letters, l’Africa nel sottosuolo ha tantissima acqua: 20 volte la quantità di acqua dolce contenuta nei suoi laghi. Le riserve più grandi sono sotto i paesi del Nord Africa e del Sahel, in pratica sotto il deserto del Sahara c’è una enorme riserva di acqua potabile. Un secondo grande bacino giace tra la Repubblica democratica del Congo e la Repubblica Centrafricana, mentre un terzo è nel sud, a cavallo di Namibia, Botswana, Angola e Zambia. Orbene, quest’acqua si trova a grandi profondità e la sua estrazione si presenta assai difficoltosa ma non impossibile come ha dimostrato il governo libico, primo in Africa, che all’inizio degli anni Ottanta avviò il progetto del Grande Fiume Artificiale (Great Made Man River)[9] per collegare, attraverso 5 mila chilometri di condutture, l’acqua del Bacino Nubiano a Tripoli e alla zona costiera[10]. Circa tremila pozzi che pompano acqua da 450 – 650 metri di profondità per una portata massima di 100 metri cubi al giorno[11].

Vediamo dunque che l’acqua, oltre alla sua importanza come risorsa, assuma un carattere geopolitico che in futuro potrebbe trasformare situazioni conflittuali in guerre aperte le cui conseguenze saranno catastrofiche non solo per i Paesi a sud del Sahara ma anche per quelli a nord e per la stessa Europa. La scarsità d’acqua o la sua ridotta qualità dovuta all’inquinamento produrrà emigrazioni sempre più massicce, disordini interni, carestie e pandemie.

Come acutamente ha evidenziato il geografo e giornalista Emanuele Bompan[12], «L’acqua è un elemento globale, che non conosce i confini degli stati nazione. Eppure, sempre di più gli stati competono per lo sfruttamento delle risorse idriche. Circa il 40 % della popolazione vive lungo fiumi e bacini idrici che appartengono a due o più paesi… circa cinque miliardi di persone vivono in paesi che condividono acqua oltre frontiera… due miliardi di persone condividono circa 300 sistemi acquiferi transfrontalieri. Uno degli strumenti del diritto internazionale più efficace è la “Convenzione delle Nazioni Unite sui corsi d’acqua internazionali”, siglata nel 1997». L’Italia l’ha ratificata nel 2012[13], la Convenzione però è entrata in vigore solo nel 2014 ossia al raggiungimento del numero minimo di Stati firmatari (35) con la ratifica da parte del Vietnam. Complessivamente, ad oggi hanno ratificato 39 Stati.

Alla luce di quanto detto, paradigmatica è la delicata e complessa situazione riguardante la gestione delle acque da parte dei Paesi del bacino del Nilo.

Il Nilo principale, quello che arriva nel Mar Mediterraneo, nasce a Khartoum, la capitale del Sudan, dall’unione delle acque del Nilo Azzurro e del Nilo Bianco, che a loro volta hanno origine rispettivamente dal Lago Tana in Etiopia e dal lago Vittoria, il più grande lago africano. In quest’ultimo si affacciano ben tre stati: Tanzania, Uganda e Kenya. Il maggiore immissario del lago Vittoria è il fiume Kagera che nasce in Ruanda. In sostanza, l’area del Nilo e dei suoi affluenti è molto vasta e ricomprende ben dieci Paesi: Egitto, Sudan, Sudan del Sud, Burundi, Etiopia, Kenya, Repubblica Democratica del Congo, Ruanda, Uganda e Tanzania. Ebbene, ognuno di questi Paesi intende esercitare il diritto sovrano di costruire dighe per produrre elettricità, oppure utilizzare liberamente parte delle acque presenti entro i confini nazionali. Progetti legittimi, che rispondono ai rispettivi interessi nazionali, economici e di sicurezza
ma che violano gli accordi internazionali sulle acque del Nilo, del tutto favorevoli all’Egitto. Il giornalista Enrico Casale nel suo articolo La questione del Nilo: una partita ancora aperta[14] ha illustrato efficacemente la situazione e posto una drammatica domanda: «Sarà la gestione delle acque del Nilo a scatenare il prossimo conflitto in Africa orientale? È presto per dirlo, ma lo sfruttamento delle risorse idriche, se non sarà gestito attraverso accordi internazionali, potrebbe diventare fonte di crescenti tensioni fra i Paesi della regione… La gestione delle acque del Nilo è regolamentata da due trattati. Il primo risale al 1929 – spiega Enrico Casale – e fu stipulato dall’Egitto (che era diventato indipendente nel 1922) e dalla Gran Bretagna (per conto del Sudan, allora sua colonia). L’intesa riconosceva a Egitto e Sudan un diritto storico e naturale all’uso delle acque del fiume, vincolando tutti gli Stati a monte del bacino. Nel 1956, diventato indipendente il Sudan, Khartoum e Il Cairo tornarono a negoziare la ripartizione delle risorse del Nilo. Il trattato firmato nel 1959, e tuttora in vigore, assegna all’Egitto il 75% delle acque del fiume, lasciando al Sudan la rimanente parte. È chiaro che questa intesa garantiva, e garantisce tutt’oggi, una posizione di rilievo all’Egitto che, pur trovandosi a valle, può sfruttare la porzione più grande delle risorse idriche a danno dei Paesi a monte». Negli ultimi decenni, inoltre, la situazione si è aggravata in quanto le popolazioni dei Paesi a monte dell’Egitto sono aumentate in percentuale superiore rispetto a quella egiziana.

Nel 2010, al fine di trovare un compromesso per una gestione più equa delle acque del Nilo, alcuni Stati membri della Iniziativa del Bacino del Nilo (Nile Basin Inititative)[15] hanno siglato un Accordo Quadro Cooperativo (Entebbe Framework Agreement, dal nome della città ugandese in cui si sono svolti i negoziati) a seguito del quale l’Egitto, nel timore di essere penalizzato, si è ritirato dal citato organismo intergovernativo. Il 27 marzo 2017, il Consiglio dei Ministri del Nilo ha convocato una riunione straordinaria «per facilitare la ripresa della piena partecipazione dell’Egitto alle attività dell’Iniziativa del Bacino del Nilo»[16]. L’Egitto è altresì preoccupato per la costruzione della Grande Diga del Rinascimento Etiope o Diga del Millennio a circa 500 Km a nord ovest della capitale Addis Abeba, a 40 chilometri dal confine con il Sudan, lungo il Nilo Azzurro[17], nell’ambito di un più vasto progetto idroelettrico (Grand Ethiopian Renaissance Dam Project) fortemente voluto dal governo etiopico e volto allo sviluppo dell’intero Paese sia nel settore della produzione di energia elettrica sia in quello, particolarmente sensibile per la sua valenza politico-sociale, alimentare. La “Diga del millennio”, il cui completamento è previsto entro il 2017, sarà in grado di generare una potenza superiore a quella attualmente prodotta da tutta l’Africa Orientale. In sostanza, ciò che per l’Etiopia sarà un indiscutibile passo in avanti per l’Egitto sarà al contrario una seria minaccia alla sua stabilità sociale. Oltre all’Etiopia, per analoghe esigenze, anche la Tanzania ha intrapreso una serie di iniziative autonome in materia di gestione delle risorse idriche, in particolare per quanto concerne le acque del Nilo Bianco, la cui utilizzazione è vincolata, come per il Nilo Azzurro, agli stessi vecchi trattati di epoca coloniale. Il Nilo, dunque, non rappresenta un valore geopolitico sensibile solo per l’Egitto, come abitualmente si è portati a pensare, ma per tutti gli Stati che si affacciano nel bacino di questo fiume. La comunità internazionale, pertanto, dovrà aiutare questi Paesi a trovare preventive ed adeguate soluzioni al problema prima che i dissidi si trasformino in scontri armati e future guerre di cui l’Africa Sub-sahariana non ne ha certo bisogno. In conclusione, l’acqua del Nilo non dovrà essere utilizzata come strumento di predominio politico nei confronti degli Stati vicini e/o a valle ma in un quadro di mutua collaborazione nel generale interesse di tutte le parti in causa.

 

NOTE

[1] http://www.difesambiente.it/geosfera/acque_sotterranee.aspx

[2] http://www.israele.net/israele-superpotenza-per-desalinizzazione-e-riciclo-dellacqua

[3] http://www.lastampa.it/2015/06/01/esteri/acqua-dal-mare-e-niente-sprechi-cos-israele-ha-battuto-la-siccità

[4] http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/inquinamento_acque.wp

[5] L’OMS ha stabilito che «l’acqua si considera inquinata quando le sue caratteristiche chimico – fisiche sono direttamente o indirettamente modificate in conseguenza dell’attività umana, in misura tale da limitare in parte o del tutto gli usi cui dovrebbe essere destinata allo stato naturale».

[6]https://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2017/february/documents/papafrancesco_20170224_worksh op-acqua.pdf

[7]http://www.giorgiotemporelli.it/sites/default/files/articoli/intervento%20di%20Giorgio%20Temporelli.pdf; Intervento di Giorgio Temporelli al convegno nazionale LIONS «Nutrire il pianeta energia per la vita» – Milano, 11 aprile 2015.

[8] http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2014/10/06/news/la_guerra_per_il_cibo_che_verr2-96002570/

[9]https://www.researchgate.net/profile/A_Ebraheem/publication/225606905_A_very_large_scale_GIS-based_groundwater_flow_model_for_the_Nubian_sandstone_aquifer_in_Eastern_Sahara_Egypt_northern_Sudan_and_eastern_Libya/links/553c16e10cf2c415bb0b17c6.pdf, W. Gossel · A. M. Ebraheem · P. Wycisk, A very large scale GIS-based groundwater flow model for the Nubian sandstone aquifer in Eastern Sahara (Egypt, northern Sudan and eastern Libya).

[10] http://www.agccommunication.eu/ambiente/guerra-del-cibo-e-dellacqua/5062-acquifero-nubiano-accordo-libia.

[11] http://cieliparalleli.com/documenti029/NubianSandstoneAquiferSystem.pdf, Martina Müller Claudia Dengler Felix Leicht The Nubian Sandstone Aquifer System.

[12] Gestione dell’acqua nei grandi bacini transnazionali. I casi di Cina, Africa Australe, Himalaya. http://www.watergrabbing.it/atlante.html

[13] http://www.cngeologi.it/2012/08/21/litalia-ratifica-la-convenzione-onu-sui-corsi-dacqua-internazionali/

[14] http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/la-questione-del-nilo-una-partita-ancora-aperta.

[15] Nile Basin Initiative (NBI) è un organismo intergovernativo, istituito nel 1999, tra i 10 paesi del Bacino del Nilo: Burundi, Repubblica Democratica del Congo, Egitto, Etiopia, Kenya, Ruanda, Sud Sudan, Sudan, Tanzania e Uganda. L’Eritrea vi partecipa come osservatore. Tale istituzione ha il fine di attuare una gestione coordinata tra gli Stati del Bacino della comune risorsa idrica.

[16] http://www.nilebasin.org/index.php/new-and-events/134-nbi-holds-extraordinary-nile-com-to-facilitate-egypt-s-return

[17] Al termine dei lavori Grand Ethiopian Renaissance, Dam sarà la diga più grande d’Africa (lunga 1800m, alta 170m e del volume complessivo di 10 milioni di m³) in grado di produrre, mediante 2 centrali elettriche, 15.000 Gwh/anno.

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