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Nei nostri geni vive un’anima africana

Si parla costantemente, e da qualche tempo ormai, di un vero e proprio Rinascimento Africano.

La nobile iniziativa in questione, oltre a farci riflettere su diverse problematiche a livello geopolitico, ci induce a formulare alcune riflessioni in ambito antropico e più precisamente sulle nostre – per troppo a lungo obliate – origini africane. Invero, ogni uomo o donna che cammini su questo pianeta appartiene al grande ceppo filogenetico e tassonomico dell’Homo sapiens. E l’Homo sapiens si è originato in Africa.

Questo dato fondamentale è intenzionalmente o surrettiziamente dimenticato e ciò rappresenta un suicidio culturale compiuto o per mera ignoranza o per precisa e infausta volontà.

Noi tutti proveniamo da un antico passato che data tra i 200.000 e 150.000 anni fa e che vede la sua origine biologica nel grande continente africano, in particolare, anche se permangono alcuni attuali contrasti in letteratura, nell’Africa Subsahariana e ancora più in particolare nel plateau africano denominato Rift Valley dell’Africa orientale. Nell’Africa orientale è sita, infatti, la più imponente struttura depressiva celebre tra i paleontologi per l’elevata concentrazione di resti fossilizzati appartenuti al grande cespuglio concernente l’evoluzione umana. Invero proprio nelle suddette zone africane, all’incirca ventidue milioni di anni fa nel corso del miocene, sorsero le scimmie antropomorfe dalle quali, per diversificazione biologica, si originarono in seguito gli ominini, tra i quali spetta un posto al sapiens: ovvero noi stessi. E, in effetti, la storia evolutiva dell’uomo sapiente (Homo sapiens) è davvero rappresentabile con l’immagine di un cespuglio, quest’ultimo pieno di rami e rametti i quali, simboleggiando il sorgere e il perire di nuove specie pre-antropiche, s’intersecano tra di loro.

I primordi del suddetto pensiero li rinveniamo nell’opera principale stilata da Charles Darwin, il quale, studiando la nostra origine, nel 1871 diede alla luce “The Descent of Man, and Selection in Relation to Sex” ovvero: l’Origine dell’uomo e la selezione sessuale, quest’ultimo concetto, inteso anch’esso come meccanismo evolutivo.

La moderna Antropologia Fisica, in sinergia con gli studi di Paleoantropologia, ha appurato, infatti, che l’Homo sapiens appartiene al gruppo Hominini i quali a loro volta afferiscono, per superiori vie filogenetiche e tassonomiche alla super famiglia degli Hominoidea nella quale rientra l’Ordine dei Primates. Il genere Homo si è disgiunto dagli scimpanzé (genere Pan) intorno ai sei milioni di anni fa. Il ruolo di progenitore della specie Homo sapiens appartiene agli Australopiteci, tra i quali si citano i gruppi di: anamensis, afarensis, africanus con un periodo temporale oscillante dai 4,3 ai 3,5 milioni di anni fa.

Homo fece la sua prima comparsa all’incirca tra 2,5 e 1,8 milioni di anni fa con le specie rudolfensis (dal sito del lago del Turkana in Africa che anticamente si chiamava Rudolf) e habilis a causa dell’attitudine, da parte di quest’ultimo, di produrre strumenti. Intorno agli 1,6 milioni di anni fece la sua apparizione, l’Homo ergaster con caratteristiche fisiche comprendenti un toro sopraorbitario (visiera ossea posta sopra gli occhi) e un cervello di 850 cc., il quale probabilmente per primo lasciò il continente africano. Il continente africano diede in seguito i natali di altre specie di Homo come l’erectus i cui primi resti furono rinvenuti nel continente asiatico e in Europa le specie heidelbergensis e neanderthalensis. I primi due produssero la cultura acheulana e consistente nella creazione di asce o bifacciali (industria litica); invece il neanderthalensis produsse la cultura musteriana. Data l’importanza dell’Homo neanderthalensis nella storia della scienza antropologica, occorre soffermarci brevemente su quest’ultimo. Il Neanderthal, apparso nell’ultimo periodo glaciale del quaternario (periodo wùrmiano) tra i 350.000 e i 35.000 anni, produce la cultura musteriana (nome derivante dalla località francese di Le Moustier) con una buona e raffinata produzione di strumenti litici, partendo dalla lavorazione di frammenti di selce. Essi erano in possesso di statura eretta di circa 160 cm, con capacità cranica superiore ai 1500 cc. Da ultimo, circa 150.000 anni fa, appare in Africa l’Homo sapiens, che dopo aver lasciato il suolo africano, colonizzò, come in precedenza aveva già fatto l’ergaster, il resto del pianeta. I primi fossili di Homo sapiens furono scoperti nel sud dell’Etiopia nel sito di Omo Kibish e risalgono a 195.000 anni fa circa.

Gli studi di Antropologia Molecolare oggigiorno sono sempre più focalizzati, in sinergia con gli studi pertinenti alla genetica di popolazione, a evidenziare i movimenti in scala cronologica delle popolazioni umane sul nostro pianeta e, così operando, viene al contempo valutato anche il grado di variabilità esistente, a livello genetico, nei vari gruppi umani.

La prova di quanto sopra descritto si rinviene considerando che il genoma umano non è molto variabile per sua natura. A quanto appena narrato, deve tuttavia essere aggiunto, che la totalità delle differenze genetiche negli individui è denominata variazione genetica, e quest’ultima ha come target lo studio di una parte dei nucleotidi facenti parte del genoma umano (sono circa sei miliardi i nucleotidi presenti in un individuo, considerando l’aliquota sia femminile sia quella maschile ovvero quella materna e paterna) e molti di essi sono marcatori genetici in grado di permettere agli studiosi di ricostruire i flussi migratori delle popolazioni e ricostruire la loro genealogia genetica da altre specie.

Infatti, i suddetti studi di Antropologia Molecolare hanno evidenziato che l’uomo moderno si è originato in Africa poiché in tale continente ha avuto modo di accumulare nel tempo la maggiore variabilità genetica.

La spiegazione all’esposta fenomenologia è in parte dovuta al fatto che la maggiore variabilità genetica si osserva soprattutto nelle popolazioni africane, attesa la circostanza che le predette sono le più antiche e quindi hanno avuto modo di accumulare più variazioni genomiche nel tempo rispetto ad altre popolazioni extra africane. L’adeguamento all’ambiente ha poi fatto il resto agendo sui caratteri fenotipici dell’uomo.

Non esistono pertanto le razze, ma si parla oggi di adattamento umano all’ambiente.

In effetti, gli studi di genetica di popolazioni convergono nell’affermare che la variabilità genetica decresce man mano ci si allontana dall’Africa, e ciò perché il sapiens si è originato in Africa stabilendosi originariamente in piccoli gruppi composti di poche migliaia d’individui e poi nel tempo, come sopra descritto, si sono espansi fuori dal continente africano.

Il luogo della fuoriuscita migratoria è stato identificato con il Corno d’Africa in base alle repertazioni archeologiche attinenti ai fossili più antichi.

La migrazione in seguito si è spostata verso l’Arabia, Iran, Asia orientale per giungere in Australia intorno ai 50.000 anni fa. In Europa i sapiens sono giunti all’incirca 35.000 anni fa.

Il report scientifico in questa sede narrato dimostra che il così detto “Mal d’Africa” non rappresenta soltanto un mero stato d’animo, una sensazione dovuta alla nostalgia di un luogo che si brama, ma anzi esso assurge a dirompente verità illuminandoci su una nostra lontana origine africana alla quale, noi tutti, dobbiamo rispetto, così come i nostri geni ci hanno tramandato senza diversità di lingue, opinioni politiche, di religioni e infine di razze.

 

Dr. Avv. Vincenzo Lusa, giurista e antropologo forense, Fellow permanente con diritto di voto dell’American Academy of Forensic Sciences (USA), Sezione di Jurisprudence, Socio Fondatore e Membro del Comitato Scientifico dell’Accademia Italiana di Scienze Forensi con sede a Reggio Emilia, membro del  Comitato Scientifico di Europa2010

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